Apertura mostra domenica 10,00-12,30 e 15,30 - 18,30
L’Unione Sovietica era assolutamente sprovvista di un piano di emergenza e ciò che fu fatto avvenne all’insegna della pura improvvisazione.
Molti "liquidatori" (operai inesperti e privi di qualsiasi tipo di protezione, che manualmente, con terra o con acqua, tentarono di spegnere l’incendio), essendo stati esposti a radiazioni dirette, morirono nel giro di poco tempo.
In seguito il reattore fu sigillato con un sarcofago di cemento.
Purtroppo, però, questa protezione oggi presenta delle crepe e, soprattutto, essendo troppo pesante tende ad abbassare di alcuni metri l’intera struttura con il rischio di inquinare sia il suolo che le falde acquifere sottostanti.
Se ciò avvenisse lo stesso Mar Mediterraneo potrebbe esserne coinvolto, visto che le falde acquifere conducono al fiume Dnepr, che sfocia nel Mar Nero.
Difficile quantificare la portata di questa immane tragedia, l’entità della devastazione ambientale di cui fu causa, e le vite umane che cancellò immediatamente dopo l’esplosione, e negli anni a venire, per l’effetto nefasto della nube radioattiva.